Come gruppo care leavers di CarINg il 30 marzo è stato un giorno importante: la conferenza finale ha dato un senso non solo al progetto a cui lavoriamo da quasi due anni ma anche al nostro dolore e ai momenti di confusione durante i nostri percorsi individuali. Finalmente infatti ci siamo ritrovati, come vorrebbe ogni ragazzo e ragazza nella nostra situazione, a parlare, a far sentire la nostra voce, le nostre emozioni, ad esporre le vere esigenze di ragazzi come noi.
Il nostro gruppo è composto da 5 persone. All’inizio non ci conoscevamo ma durante il percorso CarINg siamo diventati una famiglia, abbiamo condiviso dolore, sofferenza, gioia e anche tante idee per il cambiamento a cui puntiamo. Il gruppo è composto da Giada Cremasco, che frequenta il primo anno di scienze turistiche, Noreen Nasir, frequentante l’ultimo anno del liceo classico, Marco Ciofi, all’ultimo anno del liceo scientifico, Sally Sy, frequentante l’ultimo anno dell’Internazionale e Claudia Cecchin, che presta servizio civile presso la misericordia.
Noi, care leavers, durante il percorso di CarINg ci siamo cimentati nel produrre un video che potesse rappresentare al meglio le tematiche che ci stavano più a cuore; parlare però solo di quello alla conferenza del 30 marzo sarebbe stato riduttivo. Infatti, abbiamo aperto l’incontro dicendo che questo lungo e bellissimo percorso è stata per noi l’occasione per crescere, prendere consapevolezza, trovare la forza di conoscere e riconoscersi.
Nel nostro percorso un tema di riferimento è stato quello dell’autonomia. Parlando fra noi ragazzi, ci siamo resi conto di come verso i 18 anni, se non prima, veniamo in qualche modo oppressi da questa parola: “autonomia”. Ci dicono che per essere autonomi bisogna saper pulire la casa, pagare l’affitto, pagare le bollette, andare alle poste ma non ci viene mai spiegato come si fanno tutte queste cose: è come dare la penna in mano ad un bambino senza mai insegnargli come si scrive. Inoltre, ci siamo chiesti: ma cos’è l’autonomia?
È solo sapere pagare e pulire? No, non è solo questo e lo abbiamo capito soltanto ragionando insieme. Tutti pensano di conoscere la definizione di autonomia, ma in realtà questa non è banale e può essere ricca di sfumature. Per noi care leavers è molto più difficile essere autonomi, quando a diciotto anni veniamo lasciati ad affrontare da soli il mondo con tutte le sue difficoltà. Per questo, secondo noi il sistema di accoglienza dovrebbe essere capace di creare le condizioni affinché questa autonomia si realizzi e si possa sperimentare con i tempi adatti. Dunque, siamo andati oltre alla definizione classica di autonomia, secondo la quale per essere autonomi bisogna avere un lavoro e saperlo mantenere, avere delle entrate e saperle gestire, prendersi cura di sé stessi e della casa; abbiamo capito che autonomia vuol dire anche essere consapevoli di sé, dei propri limiti e delle proprie risorse, significa fare pace con il proprio passato che condiziona il presente ed il futuro.
Autonomia per noi care leavers vuol dire saper chiedere aiuto, sapere a chi rivolgersi per reperire informazioni utili e saper costruire e coltivare relazioni significative ed equilibrate, ma soprattutto essere autonomi NON vuol dire fare tutto da soli.
Dunque, come dovrebbe essere l’autonomia?
“Essere autonomi dovrebbe essere un traguardo di libertà verso il mondo e verso sé stessi. Per i care leavers spesso però, è un obbligo da raggiungere prestissimo. Viene visto come un LIMITE perché ci è chiesto di essere adulti e autonomi prima del tempo.”
Come vorremmo il sistema di tutela?
- Il sistema di tutela non deve essere un cerotto da mettere sulle nostre ferite ma deve darci l’opportunità di inseguire le nostre aspirazioni e i nostri sogni.
- Il sistema di tutela per essere funzionante deve costruire e dare strumenti in più agli operatori sul tema del leaving care, attraverso la formazione, la costruzione di una rete efficace e la partecipazione dei ragazzi e delle ragazze, che sono i protagonisti. Inoltre, sarebbe essenziale investire economicamente nell’accoglienza.
- Il sistema di tutela per essere funzionante deve costruire e dare strumenti in più agli operatori sul tema del leaving care, attraverso la formazione, la costruzione di una rete efficace e la partecipazione dei ragazzi e delle ragazze, che sono i protagonisti. Inoltre, sarebbe essenziale investire economicamente nell’accoglienza.
- Il sistema di tutela per essere efficace deve diventare partecipato. Infatti, si chiama sistema di tutela perché deve proteggere, ma proteggere significa anche rendere partecipi i protagonisti: proteggono di più la consapevolezza e la condivisione dei percorsi rispetto ad una protezione fine a sé stessa.
- Per costruire un bel rapporto con un ragazzo o una ragazza non c’è bisogno di smuovere mari e monti, come alcuni credono, ma basta un ingrediente semplice e al tempo stesso potente: la trasparenza. La comunicazione e la trasparenza delle decisioni sono fondamentali, i ragazzi sono in grado di sopportare le situazioni se queste sono comunicate con i giusti strumenti.
- Il sistema di tutela deve inoltre ragionare sui rapporti affettivi che si creano tra il ragazzo/la ragazza e l’educatore/ genitore affidatario. Spesso i ragazzi che terminano il loro percorso, voltandosi indietro ritrovano non più la porta che prima li aveva accolti, ma una recinzione. Purtroppo, sembra non esserci un modo sano di lasciar andare i ragazzi che escono dal sistema di tutela.
- Il sistema di tutela per generare fiducia deve essere stabile. Ci piace usare la metafora del trampolino, poiché vorremmo essere spinti dal sistema di tutela in alto e non sprofondare negli eventi del nostro passato
- Si parla molto di fiducia e affidamento, ma è necessario che il sistema di tutela si dimostri capace di tali onori. Fidarsi e soprattutto affidarsi agli adulti rappresenta una sfida bella e grossa quando si proviene da una storia in cui siamo stati traditi o abbandonati proprio da loro. Ci viene chiesto di affidarci ma spesso mancano le condizioni e le dimostrazioni giuste per poterlo fare. La carta del palloncino rappresenta bene in che modo noi vorremmo il sistema di tutela: il palloncino è composto da elio all’interno e dal contenitore-palloncino all’esterno. Il ragazzo/la ragazza sono come l’elio all’interno e il sistema di tutela è come il contenitore-palloncino. Senza il contenitore l’elio volerebbe via senza una direzione, mentre senza l’elio il contenitore-palloncino non potrebbe volare: i due, l’elio e il palloncino, come il ragazzo/la ragazza e il sistema di tutela, devono coesistere insieme per riuscire a volare in alto.
L’incontro del 30 marzo è stato per noi una grande occasione non solo per raccontare la nostra esperienza e il nostro punto di vista, ma anche per cambiare qualcosa. Durante questo percorso, grazie anche alla costante presenza di Caterina Arciprete (PIN-ARCO) e di Fabrizio Pedron (SoS Villaggi dei Bambini), abbiamo trovato il coraggio e ci siamo fatti forza a vicenda per guardarci indietro e riuscire a creare per noi un futuro con basi più solide, con motivazioni più alte e con un obiettivo da raggiungere.
Dunque, ci auguriamo che il progetto CarINg sia stata un’occasione non solo per noi ragazzi per rivedere il nostro passato con un’altra chiave, ma anche per le figure professionali per capire di più come usare al meglio il grande potere e gli strumenti che possiedono. Noi care leavers, insieme all’aiuto di molte altre figure, abbiamo piantato un seme che siamo sicuri, con l’impegno di tutti, porterà ad un cambiamento.